Usucapione

Usucapione: la prova del possesso utile – Trib. Pavia – III^ sez. – Sent. 245/2020

IL FATTO

Nella vicenda decisa con la sentenza citata, l’attore chiedeva dichiararsi l’acquisto a titolo originario di fabbricato e terreni posseduti per oltre venti anni. Il convenuto restava contumace.

Ai fini della fondatezza della domanda, parte attrice chiedeva ammettersi prova per testi su capitoli in cui, da un lato, viene dedotta genericamente una situazione possessoria ventennale, senza specificare in quali atti materialmente il possesso si sia estrinsecato e, dall’altro, si fa riferimento in parte allo stato attuale di alcuni terreni (che si dicono essere “coltivati”, per lo più, a bosco e “prato stabile”), ed, in parte, all’utilizzo attuale di alcune porzioni immobiliari (in parte fabbricati) a “servizio” dei terreni stessi. Il Giudice rigettava le istanze istruttorie sulla base delle seguenti ragioni.

L’onere della prova

La prova del possesso idoneo all’usucapione, afferma il giudice, sia per quanto concerne l’elemento materiale sia per quanto attiene l’elemento subiettivo dell’animus, deve essere fornita dalla parte che chiede il riconoscimento, in suo favore, della dedotta fattispecie acquisitiva (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. 2, sent. n. 975 del 28.1.2000). Inoltre, con riferimento alla contumacia dei convenuti, questa non costituisce motivo per una relevatio ab onere probandi in capo a chi agisce per l’accertamento del possesso acquisitivo. Ed infatti la disciplina della contumacia “… non attribuisce a questo istituto alcun significato sul piano probatorio, salva previsione espressa, con la conseguenza che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall’onere della prova (circostanza peraltro esclusa dal novellato art. 115 c.p.c., che limita gli effetti della non contestazione alla parte “costituita”), ma anche che rappresenti un comportamento valutabile ex art. 116 comma 1° c.p.c. per trarne argomenti di prova in danno del contumace” (cfr. Cass. civ. sez. III, sent. n. 14860 del 13.6.2013).

La motivazione

Il Giudice, esaminato il capitolo di prova (“vero che le signore Caia e Sempronia, unendo il loro possesso a quello dei loro dante causa, sono al possesso da oltre 20 anni in modo pacifico, pubblico ed ininterrotto, non equivoco ed esclusivo degli immobili sotto individuati catastalmente e rappresentati nelle n. 3 planimetrie che si rammostrano)”) e richiamato il contenuto dell’art. 1140 c.c. (secondo cui il possesso è il “… potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale” ) individua nel concetto di “possesso” una categoria giuridica e non un fatto su cui il teste può essere chiamato a testimoniare, come chiarito dalla S.C. (“… la prova per testimoni del possesso, consistendo questo in una relazione materiale tra chi se ne assuma titolare e la cosa, può riguardare solo l’attività attraverso la quale il possesso si manifesta, non già il risultato del suo esercizio nel quale il possesso stesso si identifica, e ciò in applicazione della regola fondamentale secondo la quale la prova testimoniale deve avere ad oggetto non apprezzamenti o giudizi, ma fatti obiettivi.”; cfr. Cass. civ. sez. II, sent. n. 1824 del 18.2.2000 e, conforme, Cass. civ. sez. II, sent. n. 22720 del 24.10.2014).